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‘Peaky Blinders’ la recensione di una delle serie più amate

Il 10 giugno Netflix ha inserito nella sua programmazione la sesta e ultima stagione di Peaky Blinders, la serie television ideata da Steven Knight, molto attesa da chi la segue da ben dieci anni. Ha fatto la sua prima apparizione nel 2013, questa vicenda di intrecci che continuano a stupire, di ammazzamenti e tradimenti, di passioni e vendette, amori e fedeltà. Fedeltà soprattutto alla famiglia, il bene supremo, l’unico contenimento in un mondo ostile in cui bisogna affermarsi a tutti i costi.

Peaky Blinders recensione I personaggi

I personaggi principali sono i fratelli Shelby; Tommy (Cillian Murphy), Arthur (Paul Anderson), John (Joe Cole) e Finn (Alfie Evans-Meese). Sono loro i Peaky Blinders. Peaky per i risvolti appuntiti dei cappelli (compresi di lamette), che lanciano contro chiunque si frappone tra loro e i guadagni facili,  tra loro e un potere che si rafforza sempre più nel tempo. Blinders per un look elegantemente insolito.

Presenze femminili, la sorella, Ada (Sophie Rundle), che si avvicina e si allontana, ma non può ignorare a lungo l’appartenenza, e la zia Polly (una splendida Helen McCrory), scomparsa nella primavera del ’21, e quindi assente nella sesta stagione.

Peaky Blinders

Sophie Rundle è Ada. Foto ufficiali Netflix

Ha un’origine gitana, la famiglia Shelby. Temuta e rispettata da una parte, disprezzata dall’altra. E se pure il suo controllo superi anche i confini di  Birmingham per estendersi su altre parti dell’Inghilterra fino in America, il richiamo culturale si farà sempre sentire. Anzi, più si va verso la conclusione della serie, più il legame diventa insopprimibile.

Peaky Blinders recensione. Tommy Shelby

Cut back della prima guerra mondiale, insieme ai fratelli Arthur e John, Tommy fa parte della generazione distrutta dalle show disumane a cui è stata sottoposta. Vittima dei suoi demoni, cerca di tenerli a bada con alcool e sigarette, riuscendo a non farsene sopraffare fino in fondo. Almeno, non come Arthur, che perde quasi tutto per le sue dipendenze.

Ma, per non arrendersi agli incubi che tornano sempre, matura un atteggiamento di distacco dalle cose di questo mondo. Di relativa distanza, che non coinvolgerà gli affetti più profondi: le due mogli, i figli, la famiglia tutta.

Per proteggerli farà di tutto, ma ambizione e desiderio di rivalsa (lui, uno zingaro che ottiene persino un posto nel Parlamento, ricoprendolo con successo), oltre alla disfatta psicologica della guerra, lo rendono taciturno a oltranza. Non deve dare spiegazioni, Tommy, mai, a nessuno. La famiglia deve solo fidarsi e il più delle volte succede.

Cillian Murphy dà credibilità e spessore al personaggio, e fascino straordinario a un uomo che non ha paura della morte, se non quando i ricordi del sottosuolo gli tolgono il fiato. La guerra continua nei suoi conflitti interiori, resi con l’imperturbabilità dei gesti e le angosce notturne.

Peaky Blinder recensione

Cillian Murhy in una scena di Peaky Blinders. Foto ufficiale Netflix

Gli intrecci della narrazione

I primi episodi di Peaky Blinders, di una narrazione complessiva che comprende il periodo dal 2019 al 2034, sono del 2013. Dieci anni per raccontarne quindici, quasi come se si volesse avvicinare il più possibile  il tempo del racconto e quello della storia. Nessuna fretta, quindi, nella realizzazione della serie. Con calma, i Peaky Blanders si sono raccontati, in un ritmo che sosta e il più delle volte accelera per comprendere le svolte narrative che non si contano.

Amori devoti e infedeli, sanguinosi regolamenti di conti,  antagonismi feroci, a volte sospesi se prima si devono concludere affari convenienti. Non certo quello con gli italiani, capeggiati dallo spietato Luca Changretta (Adrien Brody), deciso a sterminare tutti gli Sherby. Ma Tommy li salverà ancora, grazie alla sua inventiva, quasi da supereroe. Non tutti, perché quando lo scontro si fa più violento e i rancori più covati nel tempo, qualcuno paga lo scotto della salvezza famigliare. Per ultima, zia Polly, per la cui inevitabile scomparsa gli sceneggiatori hanno trovato una soluzione davvero credibile e intelligente.

Peaky Blinders recensione

Adrien Brody, in Peaky Blinders. Foto ufficiale Netflix

L’ambientazione storica

Siamo a Birmingham nel 1919. Gli Shelby, reduci dalla guerra in Francia (ma reduci saranno per sempre) hanno già in mano il controllo delle scommesse clandestine e non solo. Le vicende attraversano il periodo storico che va fino al 1934: la povertà del dopoguerra, il proibizionismo, il giovedì nero, l’ascesa del nazismo.

Una fotografia per lo più cupa ritrae e sottolinea l’ambientazione inglese: l’interno del pub che è il loro quartier generale, il porto dei traffici illeciti, le fonderie Small Heath di loro proprietà, utili a far scomparire i cadaveri. Lì The fuckin’ Shelby si muovono sicuri, insieme, a volte nella nostra direzione: una squadra temibili e temuta, con i loro berretti e i costosi cappotti aperti a rendere le andature più spavalde.

Con la stessa arroganza, per Arthur una violenza cieca, si adattano a ogni situazione, anzi la piegano a loro vantaggio, grazie all’astuzia di Tommy. È lui il capo, nonostante non sia il primogenito, per l’irragionevolezza di Arthur, più di tutti i fratelli bisognoso di protezione.

Lo sfondo di un racconto sempre più avvincente contribuisce molto alla resa filmica della serie. Perché la storia entra nelle vite degli Shelby con una ricostruzione credibilissima e loro non si lasciano sopraffare, anche quando tutto sembra perduto. La soluzione arriva inaspettata per loro, e anche per noi.

La colonna sonora

Come afferma Veronica Ranocchi sulle nostre pagine di Taxidrivers, la musica è un altro importante motivo per vedere o rivedere Peaky Blanders.

La sigla è una testo di Nick Cave di venticinque anni fa, comunque, come tutta la colonna sonora molto lontana dal tempo della narrazione. Parla di un uomo che ha del demoniaco e divino insieme, che sa stupire e impaurire: il riferimento a Tommy Shelby non poteva essere più azzeccato di così.

Peaky Blinders recensione

Ancora Cillian Murphy in Peaky Blinders. Foto ufficiale Netflix

Ogni stagione poi è affidata a un compositore diverso: Martin Phipps, Paul Hartnoll, Dickon Hinchliffe, per le prime tre. Antony Genn e Anna Calvi per la quarta e la quinta.

L’ultima stagione inizia con una sigla diversa delle cinque precedenti, per indicare l’avvenuto cambiamento di Tommy, e quella finale ha solo suoni della natura in omaggio a Helen McCrory. Torna comunque Anna Calvi insieme advert altri compositori.

“La cosa interessante di Peaky Blinders è che non solo è brutale e violento; esplora anche un amore profondo per la famiglia. C’è una certa vulnerabilità, che deriva dai danni della guerra e dal modo in cui questa danneggia le relazioni. La bellezza nella brutalità, è un tema che ho sempre cercato di analizzare nella mia musica. La sfida per me è stata dimostrarlo con una chitarra. Ho preso molta ispirazione dai movie Western, perché penso che Peaky Blinders sia un western ambientato a Birmingham”. (Anna Calvi)

E ancora: “Ho voluto dare alla sua coscienza una voce femminile. Pensavo che avrebbe reso tutto ancora più terrificante, e che gli avrebbe dato più profondità e un aspetto più intimidatorio rispetto advert una voce da bruto. Mi sono persa, scrivendo per Tommy come se fosse una persona vera”.

Per l’intera serie, affascinano le sonorità blues, folks, rock e punk, a sottolineare i momenti epici, e a dare contemporaneità advert azioni e sentimenti, vecchi di un secolo, ma sempre attuali.

Il futuro di Peaky Blinder

Ci si aspettava una conclusione alla superb di Peaky Blinders, se pure si fatica a immaginare un Tommy Shelby finalmente pacificato. Le ultime scene invece lasciano alcune questioni in sospeso, soprattutto il futuro del nostro eroe.

Probabilmente l’epilogo sarà riassunto in un movie e, molto probabilmente, si arriverà fino al 1939 all’inizio della seconda guerra mondiale.

Peaky Blinders 4 motivi per (ri)guardare la serie

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