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‘Yellowjacket’ , la serie: dal Signore delle Mosche a Misplaced. La nostra recensione

Yellowjacket è una serie composta da dieci episodi disponibili dal 17 novembre su Sky.

Nel 1972, mentre trasportava una squadra di rugby uruguaiana, il volo 57 dell’aereonautica militare si schiantò sulle Ande: 11 dei 45 passeggeri sono morti, i sopravvissuti sono rimasti per 72 giorni bloccati sulla catena montuosa. ancora, solo in 16 sopravvivivono alla prova fisica e psicologica, ricorrendo persino al cannibalismo.

A questa vicenda tragica e oscura, la serie Yellowjacket creata da Ashley Lyle e Bart Nickerson non è ispirata dichiaratamente, ma è naturale che la storia delle quattro adolescenti coinvolte in un incidente aereo che rivelano le conseguenze drammatiche riguardo la loro sopravvivenza solo venticinque anni dopo richiami la cronaca.

Piuttosto, la Lyle cube di aver avuto l’thought per la sua serie pensando advert una trasposizione cinematografica de Il Signore Delle Mosche (Lord of The Flies): il romanzo di William Golding (Premio Nobel per la letteratura nel 1983) è insieme a Misplaced il primo e immediato riferimento della bella opera disponibile su Sky, anche se -come avviene per le cose migliori- lo spunto iniziale serve solo a dare la stura a qualcosa di sicuramente originale e particolarmente di impatto.

Raccontare il quadro completo della società di oggi, specie quella adolescenziale, restituendo tutta la violenza e l’anarchia di cui anche le donne sono provviste (riferendosi alla declinazione maschile del romanzo di Golding, e forse dimenticando The Wilds), period l’intento dell’autrice con il marito Nickerson: e di certo, Yellowjacket centra il bersaglio con una storia che prima di tutto, sul piano narrativo, sa evitare ogni referenzialità e soprattutto ogni derivazione, svolgendosi per i primi due episodi con una struttura a flashback tra passato e presente che riesce a mantenere un’atmosfera di reale mistero circa le direzioni che prenderà la serie.

Teen drama, horror rurale, poi ancora dramma sentimentale, romanzo di formazione – sono i tasselli di un puzzle che si articola lentamente avvinghiando chi guarda in una rete dalla quale non si esce, accendendo la curiosità sul reale obiettivo della storia e interrogandosi sul concetto di squadra (sportiva ma non solo) e di convivenza, dove la funzionalità reciproca e la volontà individuale si mescolano in maniera indissolubile per tracciare un sentiero esistenziale che permetta di affermarsi come persona in un mondo ossessionato dal gossip.

E oltre al merito artistico, la sorpresa di Yellowjacket è quella di mettere in discussione fin da subito, grazie alla sua messa in scena sottile e intelligente, il confine di genere nella struttura seriale, offrendo various sottotraccia e altrettante letture di un racconto che va avanti per singulti ed ellissi, con personaggi approfonditi al di là del canone degli stilemi classici.

La scrittura raffinata e laboriosa crea un gioco di specchi per lo spettatore, perso tra personaggi, volti, slittamenti temporali e immagini inquietanti, dove il punto fermo dell’accadimento centrale (il disastro aereo e la conseguente gara di sopravvivenza) funge da barriera tra un prima e un dopo, senza però dare subito gli strumenti per decodificare la narrazione, per intrecciare bene gli eventi, e alla high-quality per dare loro un senso logico di consequenzialità e di causa/effetto.

E in questo senso, il casting è perfetto: le redivive Juliette Lewis e Christina Ricci levano il freno a mano advert una recitazione che sfrutta il meta cinema, gettando sguardi di fuoco che rievocano il loro passato maudit sullo schermo come se fosse il passato delle loro protagoniste, avvolte in una fitta nube di fumo e sangue.

Per chiedersi e chiederci fino a che punto siamo liberi o schiavi del nostro passato.

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