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Le 7 Vite di Lea: la recensione della nuova serie Netflix

Le 7 Vite Di Lea è una serie distribuita da Netflix: Creata da Charlotte Sanson e prodotta da Empreinte Digitale, la serie è tratta dal romanzo di Natael Trapp 7 giorni in 7 vite.

La trama

Lea (Raika Hazanavicius) è una diciassettenne che sta ancora cercando il proprio posto nel mondo e nella società. Dopo una festa in fondo a una scarpata rinviene alcune ossa, sono i resti di un ragazzo morto da 30 anni. Subito dopo aver toccato un braccialetto rinvenuto accanto al cadavere, Lea si sveglia nel corpo di un ragazzo e scopre di esser finita nel 1991. In 7 giorni Lea vivrà various vite: la sua nel presente e quella di altre 7 persone nel passato, provando a capire cosa è successo nel suo tranquillo paese 30 anni prima.

La recensione

Qualcuno cube che le storie sono state già tutte raccontate da Omero, con Iliade e Odissea: e magari è vero, se si pensa a sentieri narrativi archetipici.

D’altronde, quante sono le serie che parlano di slittamenti temporali e trasferimenti di coscienze da un corpo all’altro? Un tanto al chilo per ogni piattaforma, moltiplicando quindi il numero per l’enorme varietà di offerta in streaming (che presto arriverà al collasso… ma questo è un altro discorso).

Perché allora affrontare la visione di Le 7 Vite Di Lea, storia della diciassettenne del titolo che trova, durante un rave, lo scheletro di un uomo scomparso anni prima, iniziando così una sarabanda di viaggi nel tempo e dentro altri corpi? Viaggiando tra il 2021 e il 1991, Lea scopre più segreti di quanti avrebbe voluto o pensato, capendo meglio i genitori e quindi sé stessa.

La sceneggiatura della nuova serie Netflix è firmata da Charlotte Sanson, mentre la regia è di Emile Noblet e Julien Despaux: e mescola intelligentemente l’horror, la fantascienza e il thriller a segmenti gialli che sanno lasciare ampi spiragli per approfondire i personaggi, le loro motivazioni, per curiosare dentro le loro vite e la loro intimità, delineandosi allora come un teen drama che rifiuta le solite coordinate narrative per trovare la sua strada e la sua ispirazione nel combine di generi, con un approccio sbarazzino e particolarmente fresco.

Niente di nuovo neanche quando i sette episodi che compongono la stagione si riferiscono a sette vite differenti, con i conseguenti sette punti di vista personali: ma c’è qualcosa che rende la visione di Le 7 Vite di Lea piacevole e particolarmente scorrevole, ed è il suo disincanto.

Tipico del cinema d’oltralpe, che però non diventa lezioso e mai auto compiaciuto, per offrire un intrattenimento acuto, mai banale anche se si intercettano i risvolti della trama: e che vince soprattutto quando dimostra di non fare di tutto per essere cool -difetto che si ritrova nella quasi totalità dell’offerta audiovisiva televisiva di oggi-, spingendo le sue ambientazioni in geografie poco visitate, con quello sguardo curioso e particolarmente affascinante che è stato fin dall’inizio lo spirito delle produzioni Netflix.

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