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‘Sicario: Ultimo incarico’ – Confessioni del killer solitario oppresso dal senso di colpa

Sta per arrivare, sulla piattaforma Prime Video, Sicario: Ultimo incarico, thriller d’atmosfera incentrato su un killer solitario che vive in una baita nel bosco, e ha come unico amico un cane bianco, vagabondo e asociale come lui.

The Virtuoso è il titolo originale del movie, a tutti gli effetti più appropriato per rappresentare le caratteristiche, nonché la precisa metodologia di lavoro del singolare professionista.

Tuttavia la nostra distribuzione ha preferito trasformarlo, banalizzandolo, in Sicario: Ultimo incarico, forse nel tentativo di richiamare alla memoria le due pellicole omonime di qualche anno fa.

Tra le chicche di un movie tutt’altro che riuscito, c’è almeno la possibilità di ritrovare il grande Anthony Hopkins, in un ruolo di contorno, ma fondamentale per lo sviluppo della storia.

Sicario: Ultimo incarico – la trama

Il mestiere del sicario richiede sangue freddo, impegno costante, concentrazione e una professionalità che matura con l’esperienza, come si trattasse di un mestiere come un altro.

In Sicario: Ultimo incarico, un killer quarantenne solitario, ex militare figlio di militare e circondato da una fama di persona precisa e affidabile, si adopera a compiere le missioni che il suo contatto gli affida, certo che lui le eseguirà in modo impeccabile.

La precisione con cui conduce a termine i suoi incarichi gli è valsa il nomignolo de “Il virtuoso” (da qui il titolo originale del movie, che nella edizione italiana viene completamente stravolto, probabilmente per indurre lo spettatore advert associarlo al magnifico Sicario di Denis Villeneuve e al Sicario 2 (Soldado), dignitoso seguito del nostro Sergio Sollima).

“-Rilassati….sono solo io… Sapevo di trovarti qui, visto che non hai risposto al telefono.

-Mi serviva tempo…

-Lo capisco… Fino advert ora sei stato sempre perfetto, impeccabile. Ti ho fatto correre, lo so… È stato inevitabile. È colpa mia, non tua. Sono danni collaterali, lo sai…a volte capita”.

Nell’incipit il sicario ci spiega, sotto forma di confessione in stile “io narrante”, gli accorgimenti utili alla buona riuscita di una missione, nello stesso atto di eseguirla e portarla a termine in modo impeccabile.

Ma quando l’anziano suo mentore gli affida, con pochissimo preavviso, un incarico estremamente complicato e il sicario, per una fatalità non preventivabile, nell’eseguire con tattica e scrupolo la missione finisce per procurare una morte atroce a una donna innocente colta nel momento sbagliato in un luogo ancor più sbagliato, ecco che l’uomo viene colto da una crisi difficile da tenere a bada.

Sicario: Ultimo incarico

Ma a quel punto il suo anziano mandante lo raggiunge e, nel tranquillizzarlo adducendo il fattaccio a danno collaterale inevitabile per chiunque, gli fornisce un nuovo incarico per cercare di distrarlo, e lo invia in un piccolo paese di periferia dove dovrà usare tutta la sua esperienza per individuare la persona giusta da eliminare, in un contesto dove nessuno è ciò che sembra o che dichiara di essere.

A partire da una bella cameriera dell’unica locanda aperta in quel periodo poco propizio per turismo e movimenti di persone.

Stavolta l’intrigo sarà ancora più complesso dei precedenti, e le incognite finiranno per avere la meglio anche per il nostro esperto e professionale killer.

Sicario: Ultimo incarico – la recensione

The Virtuoso è un thriller che ha dalla sua parte un’interessante atmosfera cupissima da periferia montana, abbandonata a un isolamento che crea inquietudini, contornata da tipi loschi complessi da decifrare anche per lo spettatore.

Diretto senza molta verve da un Nick Stagliano che non ha mai brillato per titoli fondamentali o indimenticabili, anzi proprio il contrario, Sicario: Ultimo incarico, anticipa già dal titolo farlocco il destino del nostro “virtuoso”. E si preoccupa di definire uno studio introspettivo del protagonista che, tuttavia, rimane mezzo abbozzato, con interventi un po’ buttati lì di interazioni con gli altri personaggi e persino con un cane solitario, che non aiutano molto a definire i contorni intimi del controverso personaggio.

Advert interpretare il protagonista è stato scelto un attore avvenente quanto decisamente poco espressivo, come si rivela a tutti gli effetti Anson Mount, attore specialmente avvezzo ai prodotti seriali, e qui impegnato in uno dei suoi rari ruoli da protagonista in un lungometraggio.

Lo affianca una burrosa e altrettanto avvenente Abbie Cornish, pure lei impegnata a tratteggiare i connotati di una persona che non è quello che sembra.

E poi c’è lui, la grande star: Sir Anthony Hopkins, che torna a farsi coinvolgere, come ahimè è successo in passato molte altre volte, in progetti “alimentari” che non si meritano un divo del suo calibro e carisma.

In due ruoli da comprimari, ritroviamo due bravi attori come Eddie Marsan e David Morse, entrambi completamente sprecati. 4/10

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