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la recensione della nuova serie antologica Netflix

Disponibile su Netflix a partire dal 25 ottobre, l’antologica Cupboard of Curiosities è una serie horror ideata e prodotto da Guillermo del Toro. Un atto d’amore per il genere e per l’infinità di storie che può racchiudere. Con grandi nomi dietro e davanti alla macchina da presa, da Jennifer Kent a Panos Cosmatos, da F. Murray AbrahmCrispin Glover. Un prodotto estremamente affascinante e ben confezionato capace di garantire una molteplicità di sguardi su temi ben radicati nel nostro immaginario.

Trama – ‘Cupboard of Curiosities’

Un scale back con simpatie suprematiste (Tim Blake Nelson) entra in possesso di un magazzino appartenuto a un occultista nazista. Un profanatore di tombe (David Hewlett) finisce suo malgrado in un mondo sotterraneo popolato da topi e oscure divinità. L’autopsia sul corpo di un minatore rivela all’anatomopatologo F. Murray Abrahm una verità terribile. Una donna insoddisfatta del proprio aspetto (Kate Micucci) cede alle lusinghe luciferine di un televenditore (Dan Stevens). Un pittore (Crispin Glover) tira fuori dalle sue tele visioni di altri mondi, pur sostenendo di dipingere “solo quello che vede”… In lutto per la sorella gemella morta anni prima, un uomo (Rupert Grint) cerca di raggiungerla, ma un’oscura presenza segue le sue tracce. Un miliardario (Peter Weller) convoca le menti più brillanti del suo tempo per sondare un inesplicabile mistero. Una coppia di ornitologi in crisi (Essie Davis e Andrew Lincoln) si ritrova in una vecchia casa infestata.

Altri tempi e altri spazi

Parte da un’thought desueta, quasi dimenticata, la serie antologica ideata e prodotta da Guillermo del Toro. Il gabinetto delle curiosità non è infatti altro che una forma di collezionismo, un edificio, una stanza ma anche un cell in grado di contenere le cose più disparate, le più svariate meraviglie e stravaganze, ognuna delle quali con una storia da raccontare. Parola di Guillermo del Toro, che per il suo Cupboard of Curiosities determine di affidarsi a una forma di “spettacolo” appartenente a un altro tempo e spazio, per raccontare storie lontane da noi, fuori dal nostro mondo o, meglio, tra la nostra realtà e qualcos’altro.

Perché sono quasi tutte storie liminali quelle messe in scena dagli otto registi di questa serie, otto firme per otto racconti (due firmati dallo stesso del Toro) ambientati al confine tra due (o più) mondi, siano questi mondi alieni, numerous dimensioni o squarci sull’aldilà.

Lovecraft e co.

Non poteva essere altrimenti, d’altronde, per una serie che fa dell’orrore soprannaturale il suo genere elettivo e sceglie come nume tutelare niente meno che Howard Phillips Lovecraft. È proprio la presenza dell’autore de Il richiamo di Cthulhu che pervade infatti ogni storia della collezione, anche quelle non espressamente ispirate al suo lavoro. Il resto lo fa lo stesso del Toro, accompagnandoci attraverso questi racconti eterogenei e all’apparenza lontani anni luce l’uno dall’altro, alla maniera di un novello Hitchcock, riuscendo, con la sua figura e l’immaginario di cui è portatore, a dare unità a questa materia caotica. Pur lasciando a ogni episodio l’estrema libertà di terrorizzare a modo suo.

Episodi d’autore – ‘Cupboard of Curiosities’

È qui che prendono forma gli sguardi peculiari di una manciata di autori. Nomi spesso noti nel circuito del cinema di genere, ognuno col suo stile e la sua sensibilità. Il risultato è un compendio di tutti i topoi dell’horror soprannaturale, da quello demoniaco, con un primo episodio (Lotto 36 di Guillermo Navarro) che è già una dichiarazione di intenti, a quello cimiteriale con contaminazioni survival (I ratti del cimitero, di Vincenzo Natali da Henry Kuttner). Fino agli espliciti incubi Lovecraftiani dei celeberrimi Il modello di Pickman e I sogni della casa stregata, diretti rispettivamente da Keith Thomas e Catherine Hardwicke.

Ma se, paradossalmente, proprio gli episodi tratti dal Solitario di Windfall sembrano i più deboli, i suoi orrori paiono ammantare anche quelli più ispirati (L’autopsia di David Prior, La visita di Panos Cosmatos, lo stesso I ratti del cimitero). Tra mestieranti coi piedi ben saldi nel genere, nomi più blasonati da competition (Ana Lily Amirpour, Jennifer Kent) e semplici outsider (l’orrore lisergico di Cosmatos), quello che ne esce è così un insieme di voci eterogenee ma unite da temi da sempre cari al genere e da un sentimento costante di perdita e nostalgia.

Un raffinato omaggio al genere

Sono quasi sempre ambientati nel passato, d’altronde, gli episodi di Cupboard of Curiosities. Caratterizzati da una patina classic che parte dagli anni 70-80 e va indietro fino a inizio secolo. Mondi lontani che si aprono a mondi ancora più misteriosi, advert altre dimensioni, altri pianeti o, semplicemente, all’aldilà, resuscitando un senso di stupore e meraviglia che sembrava sopito da tempo. In questo la serie di Del Toro è estremamente classica e raffinata, un prodotto capace di generare spettacolo dalle storie più disparate. Siano queste racconti su evocazioni demoniache in magazzini fatiscenti (Lotto 36) o invasioni di parassiti alieni (L’autopsia), deliri psichedelici in ville futuristiche (La visita) o classiche storie di fantasmi (Il brusio), passando per riflessioni grottesche sul cortocircuito tra essere e apparire (L’apparenza). Tutto nella serie concorre così a delineare un’atmosfera, un sentimento, un’attitudine che non possono lasciare indifferenti. Un prodotto con cui si dovrà inevitabilmente fare i conti quando si parlerà di horror seriale e dei meccanismi stessi di costruzione della paura.

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